Anchorhead (Mike Gentry) giocata da Enrico Colombini

Reminiscenze di Poe e di Lovecraft si intrecciano nell’ambientazione di Anchorhead, tetra cittadina della costa atlantica perennemente coperta da un cielo plumbeo. Protagonista è la giovane moglie di un professore che ha appena ottenuto una cattedra alla locale università; resterà coinvolta suo malgrado in una vicenda ai confini tra suspense e horror (con qualche aspetto scabroso) che la toccherà molto da vicino. Il punto forte del gioco sono le descrizioni assai evocative degli ambienti, dei personaggi e degli eventi: nonostante una certa prevedibilità dell’insieme e di molte situazioni specifiche, l’atmosfera riesce senz’altro a coinvolgere il giocatore nella vicenda, i cui contorni si fanno sempre più vasti (e cupi) man mano che l’ignoranza e la confusione iniziale si risolvono grazie alle esplorazioni e ai documenti cui si riesce a guadagnare l’accesso. L’interfaccia non offre innovazioni particolari e l’autore avrebbe certamente potuto risparmiare al lettore un po’ di burocrazia, specie nelle gestione dell’inventario (ma questo è un difetto comune a molte avventure). Conviene leggere le informazioni fornite con “help”, ed è apprezzabile anche il comando “fullscore” che elenca i punti guadagnati per ciascun problema risolto (o azione compiuta). La difficoltà è calibrata al punto giusto perché Anchorhead sia ragionevolmente impegnativo senza essere troppo frustrante, anche se purtroppo non è difficile mettersi in situazioni senza uscita, ad esempio per non avere scoperto un certo oggetto in un luogo che in seguito non sarà più accessibile; è quindi consigliabile salvare diverse situazioni su disco, man mano che si segue lo svolgersi della vicenda, e procedere con calma esplorando metodicamente. Tra l’altro non è difficile “morire” in vari modi. Fortunatamente non vi sono limiti di tempo (ossia di mosse) almeno nei primi tre “giorni” della narrazione, tranne brevi eventi specifici, mentre la sequenza finale è alquanto frenetica. Un “giorno” finisce quando si risolvono certi problemi, ma non è detto che si possieda tutto il necessario per essere tranquilli nei giorni seguenti, quindi prima di decidere di dormire è bene andare in giro ancora per un po’ (e salvare a fine giornata). E, mentre si dorme, badare a ciò che si sogna. Da segnalare in positivo l’accurata finitura del gioco: molte situazioni “improbabili” sono prese in considerazione, segno di un meticoloso collaudo e messa a punto; vari ambienti cambiano nel corso del gioco, a volte inaspettatamente, ma sempre in modo plausibile. Vi sono anche delle sorprese da scoprire, aggiunte dall’autore per puro divertimento, come ad esempio un’immagine che cambia ogni volta che la si riguarda. Alcuni problemi non vanno obbligatoriamente risolti, ma… danno soddisfazione, e aiutano a far luce sul mistero In sintesi, Anchorhead non è forse molto originale, ma è decisamente da giocare.

Enrico Colombini, Maggio 2001