Gabriel Knight II – The Beast Within

La recensione di Gabriel Knight II (Sierra On-Line 1995). Occhio agli spoiler!

Da anni mi trascinavo dietro Gabriel Knight – The Beast Within. Lo iniziai una prima volta nel 2001 per poi interromperlo dopo due settimane. Lo ripresi qualche tempo dopo, ma senza trovare il tempo (e la voglia) di finirlo. Ultimamente l’ho ripreso e interrotto un altro paio di volte, finché nell’ultimo mese mi sono messo sotto e, finalmente, l’ho finito. Se l’avevo inseguito così tanto un motivo doveva esserci: in effetti, GK è un grandissimo adventure game. Unisce alla grafica funzionale, ai bei filmati e all’atmosfera avvincente due elementi fondamentali: un’ottima storia e enigmi originali.

L’IMPIANTO

L’impianto è quello di un’avventura grafico-testuale punta-e-clicca, ma nella sostanza GK è un film interattivo, genere che all’epoca (metà anni Novanta) ebbe una improvvisa impennata per poi ricadere nell’oblio, anche per questioni economiche: presto si scoprì che il rendimento in denaro di tali giochi non era assolutamente all’altezza dei costi. Ma GK resta, indubbiamente, il miglior prodotto di questo genere. L’unico, se non altro, in cui tutti gli elementi – film, grafica “statica” e punta-e-clicca – si mescolano alla perfezione. Un gioco curato nei dettagli, quando ancora oggi (vedi il caso di Post Mortem) si vede una sciatteria dovuta, anche in questo caso, a problemi economici (produrre giochi del genere è onerosissimo). In GK i filmati sono straordinari, e gli attori fanno il loro mestiere onestamente. Certo, il protagonista Dean Erickson non è Robert De Niro, però nel ruolo ci sta. Anche se poi, a rubare la scena a tutti, arriva l’ottimo Peter J. Lucas, nel ruolo di von Glower, personaggio che avrebbe meritato più spazio.

LA STORIA

E’ la vicenda di uno scrittore con un passato soprannaturale alle spalle che deve risolvere l’enigma di alcuni lupi assassini. La storia è ben scritta, ben costruita, curata: è chiaro che arriva dalla pena di un professionista, la scrittrice Jane Jensen. Affascina, poi, il fatto che sia ambientata in Germania, Paese visto raramente in un’avventura. L’intreccio è coinvolgente, privo di “buchi”, e a dargli corpo, oltre ai protagonisti, ci sono anche alcuni interessanti comprimari: come il “portiere” del circolo di caccia e il professore dello zoo. In più, offre anche momenti di “svago”: penso all’incontro amoroso di Gabriel.

Decisamente, è una delle migliori storie che abbia mai visto in un’avventura.

Anche i dialoghi sono ben scritti, e non fatevi ingannare da alcune battute stereotipate: sono quelle che ci si aspetta da uno come Gabriel, uomo più sveglio che acuto. C’è chi ha trovato inutili e poco incisive le battute della protagonista femminile sulla gelosia per Gabriel, in effetti sono d’accordo: questo aspetto della storia sembra messo lì per dare colore.

GLI ENIGMI

Alcuni enigmi, è vero, sono astrusi (penso all’orologio nel circolo di caccia), ma in genere sono tutti enigmi originali, e soprattutto, ben legati all’intreccio: non ho visto grossi “crimini contro la mimesi” in Gabriel Knight. Ma con una storia tanto coinvolgente, anche il “valore” degli enigmi passa, in qualche modo, in secondo piano. Insomma, voglio dire che se la storia è appassionante, uno può anche accettare qualche enigma banale o astruso. GK, dunque, è la testimonianza, tra le più forti di sempre, che una buona avventura deve soprattutto reggersi su una buona storia. Anche perché, in GK, la parte “storica” dell’intreccio, quella che prevede ricerche nei libri, non è mai noiosa né lunga: Jane Jensen, insomma, ha saputo dosare alla perfezione trama gialla, risvolto storico, spruzzate sentimentali, ed enigmi. Davvero un gran lavoro.

DIFETTI

Nella mia classifica “avventurosa”, metterei decisamente GK tra i primi dieci posti, comprendendo anche avventure solo testuali. Non lo considero un gioco perfetto, ma di sicuro un gioco eccezionale. I difetti? No, non dirò la poca interazione, perchè secondo me in GK ce n’è la giusta dose. Il vero difetto di GK, paradossalmente, è proprio nella storia, anzi nella sua costruzione: pur essendo corposa e solida, la considero troppo lineare: avrei preferito che ci fosse qualche strada secondaria per arrivare al finale, mi sarebbe piaciuto avere la possibilità di imboccare qualche “vicolo” narrativo per poi tornare sulla strada principale.

Forse, poi, non mi sarebbe dispiaciuto qualche colpo di scena in più, ma Jane Jensen ha preferito “battere” sul tasto romantico (la scena del lago, i pensieri della protagonista femminile sul passato dei personaggi storici su cui indaga) piuttosto che offrirci risvolti da film poliziesco.

Ma forse è meglio così.

CONCLUSIONE

Chiudo con una considerazione. Con la storia di GK si potrebbe costruire anche una buona avventura testuale, ma non avrebbe mai lo stesso impatto. Ebbene sì: la grafica, a volte, dà una bella spintarella al coinvolgimento. Del resto, mai sono stato d’accordo su chi dice: le parole valgono più di qualsiasi immagine. Nel caso di GK, per esempio, non è così.