Post Mortem

La recensione di Post Mortem (Microids, 2002). Occhio agli spoiler!

Ma come, in un sito dedicato alla narrativa interattiva, alle avventure testuali, state per leggere la recensione di un gioco con la grafica come Post Mortem? Perché? Primo: perché c'è da imparare, anche studiando gli errori. Secondo: perché, comunque, la struttura di un gioco così è *simile* a quella di un'avventura solo scritta. Mi ha appassionato, Post Mortem, in molti punti mi ha deluso, ma nel complesso mi ha appassionato più di molte avventure testuali.

E' ambientato a Parigi, negli anni Venti. Capiamo che siamo negli anni Venti dalle automobili, dai telefoni, dall'arredamento. Nulla, però, ci dà veramente la sensazione di essere a Parigi, poteva essere qualunque altra città e sarebbe stato lo stesso. Si parte con un omicidio in una camera d'albergo. Nei panni di Gus McPherson, ex detective finito a fare il pittore in una mezza bettola, dobbiamo – naturalmente – trovare movente, assassino e svelare i retroscena della vicenda. Nulla di originale.

Stereotipi

Ancor meno originale è lo sviluppo della storia: ma perché si deve sempre finire nell'occulto con spruzzate di alchimia? Perché ci sono sempre uno scienziato pazzo e un riccone eccentrico con la passione dei tavoli a tre piedi? Perché la trentenne è sempre svampita, il ristoratore all'estero sempre napoletano e il commissario sempre ottuso? Stereotipi. Post Mortem è la fiera degli stereotipi. Che, però, visto il successo del gioco (che, ripeto, mi ha appassionato) piacciono alla gente. E perfino ai "critici": in una recensione (ne ho lette molte prima di scrivere questa) ci si lamentava perché il protagonista non ha le *caratteristiche* del detective, ma somiglia a un bancario, a un impiegato. Ecco: dove non c'è lo stereotipo c'è chi protesta. Ma il protagonista, secondo me, è il miglior personaggio del racconto proprio perché non gira con una pistola, ha gli occhialini del contabile, il fisico gracile del bibliotecario e l'espressione da ebete. E', quantomeno, un personaggio fuori dai canoni e per questo interessante. "I poeti cominciano a diventarmi simpatici quando vedo spuntare dalle loro tasche non già Gli ossi di seppia di Montale, ma la Gazzetta dello Sport" scrisse una volta Pitigrilli. Passiamo alla storia. Appassiona, ma non esalta. E' prevedibile. Nei videogame, d'altronde, non esistono omicidi per futili motivi (come la maggior parte degli omicidi della realtà – e della cronaca), ma solo delitti commessi in nome dell'immortalità o giù di lì. E Post Mortem non è da meno: in certi punti ci sembra d'essere Indiana Jones a caccia… della pietra filosofale. Pensano sempre in grande, gli autori dei videogame. Non versano sangue per una storia d'amore, preferiscono versarlo per una pozione che dà l'eterna giovinezza. E così, abbiamo a che fare con pianeti da allineare, sostanze da mescolare, codici da decifrare. Che enigmi può offrire, d'altronde, la vita reale?

Pro

Ci sono cose che un'avventura testuale non può dare. Gli integralisti della narrativa interattiva pensano che le parole siano insostituibili, che nessuna immagine possa dare le stesse emozioni. Sbagliano. Basta pensare al cinema per capire che sbagliano. Basta giocare a Post Mortem per rendersi conto che, quando la grafica diventa un *mezzo* e non si limita a essere un *piacere per gli occhi*, si può arrivare là dove la parola, in un'avventura testuale, non può arrivare. In tutte le recensioni che ho letto si parla delle caratteristiche tecniche della grafica, di antialiasing e di tre dimensioni. E gli enigmi più interessanti, resi possibile proprio dalla grafica e irrealizzabili in un'avventura testuale, non sono piaciuti a nessuno. E nessuno ha sottolineato la loro originalità. Eccoli. Nel primo abbiamo a che fare con due quadri e, per proseguire, dobbiamo trovare le *differenze*, proprio come nella Settimana Enigmistica. Nel secondo, dobbiamo *esplorare* un dipinto e, come restauratori dilettanti, individuare i pezzi di un puzzle sotto la tela. Niente di clamoroso, ma almeno la grafica *serve*. La grafica diventa un *mezzo*. E poi la grafica, le avventure fatte con la grafica, *rilassano*, sono meno impegnative (dal punto di vista mentale, non degli enigmi) delle avventure testuali, ricche di testo da leggere e cacce alla parola.

Contro

Post Mortem sembra scritto di fretta. I dialoghi sono *sconnessi*: a volte ci sono domande da porre ai personaggi su cose che sappiamo già o addirittura che… dobbiamo ancora scoprire. I betatester se ne saranno certamente accorti, ma nessuno ha avuto la voglia e il tempo di rimettere a posto la struttura, cosa che avrebbe richiesto tanto, tantissimo lavoro. Il gioco, da questo punto di vista, è molto deludente. Da dove nasce tanta sciatteria? Evidentemente qualcuno ha pensato: sulla confezione possiamo scrivere "grafica a tre dimensioni, genere: thriller, stupende angolazioni a 360 gradi" e tanto basta per vendere. In effetti, quelli per Post Mortem sono soldi ben spesi, ben spesi per un videogame, non per un'avventura. Perché il pubblico della narrativa interattiva è un pubblico molto esigente, sta attento ai dialoghi, alla sceneggiatura, alle caratteristiche dei personaggi. Non si fa incantare dai pixel e dalle cinematiche. Già, la sceneggiatura. Quella di Post Mortem è ricca di voragini. Scrivere un giallo non è così facile come sembra. A un certo punto dobbiamo disegnare un identikit per proseguire. Ecco, siamo costretti ad andare a tentativi: dieci, cento tentativi. Eppure, le persone che ci hanno descritto l'uomo da "disegnare" sono lì, davanti a noi. Perché non possiamo chiedere di più? Il fatto è che, nei videogame, certe domande ai personaggi si possono fare solo quando vuole l'autore. E' una gabbia. Sta all'autore, poi, fare in modo che al giocatore quelle domande vengano in mente solo al *momento giusto*. Ma non capita quasi mai.

Conclusioni

Volevo partire da Post Mortem per fare qualche riflessione sulle avventure grafiche in sé e sulle avventure grafiche rispetto alle testuali. Ne ho giocate altre, di grafiche: Necronomicon, The Longest Journey, Dracula. E la sensazione è stata sempre la stessa: se togliessimo la grafica (e aggiungessimo le descrizioni) otterremmo storie mediocri (magari appassionanti, ma ricche di luoghi comuni) e giochi con enigmi di scarsa fattura (oggetti da individuare nell'ombra, codici, codici, codici, ruote magiche, ruote magiche, ruote magiche, casseforti, casseforti, casseforti). Post Mortem dà la sensazione che alcuni enigmi siano legati ai dialoghi. Ma è solo una sensazione perché basta fare al personaggio tutte le domande previste per risolvere l'arcano. E' un premio alla perseveranza, non all'ingengo: d'altronde quale giocatore lascerebbe un personaggio prima di avergli fatto *tutte* le domande scritte sul menu? La grafica rilassa, dà spettacolo, può offrire (come in Post Mortem) qualche enigma interessante, ma chi cerca la profondità – di storia, struttura e enigmi – deve rivolgersi altrove, credo. Deve ridursi alle avventure solo testo. Dove i giocatori sono più esigenti. E dove molti autori – tutta gente non pagata! – danno sempre il meglio di sé. E non lasciano lavori a metà (il discorso, naturalmente, vale per le avventure testuali di *valore*, assolutamente la minoranza).

PS. Si può dire che giocare a Post Mortem mi ha irritato. Tante belle premesse, tante belle immagini, tanti spunti piuttosto interessanti: perché non dare di più? Perché chiudere in fretta, senza cura, senza approfondimenti? Questioni di budget? Forse sì. D'altronde, certi prodotti vengono messi sul mercato * appena* sono pronti per la vendita. Non *quando* sono pronti.