The Lost Crown

Recensione di The Lost Crown di Jonathan Boakes-Darkling Room Productions.

All’inizio ti spiazza: grafica in bianco e nero, personaggi che sembrano pupazzi. Poi, presto, ti accorgi che queste sono caratteristiche di un capolavoro: The Lost Crown. Se ci penso, non mi viene in mente un’avventura grafica migliore: dunque sì, The Lost Crown la considero la migliore avventura grafica di sempre.

La realizzazione – sceneggiatura, sviluppo, produzione – spetta tutta a una sola persona: l’inglese Jonathan Boakes, ex cuoco di sushi e sashimi, ex grafico pubblicitario che in una notte del novembre 2001 concepì il suo primo gioco: Dark Fall, seguito da Dark Fall II, due avventure in prima persona in cui il protagonista è alle prese con fenomeni paranormali, fantasmi, sedute spiritiche.

The Lost Crown è dello stesso genere: un horror, con risvolti da detective story, che fa davvero paura. Mai un’avventura mi aveva “spaventato” come può fare, diciamo, un film come Profondo Rosso. Quel genere di sensazione che ti fa andare a dormire col timore di avere un incubo, che ti fa guardare attorno, nella stanza, col timore di vedere un fantasma, che ti spinge a giocare con le luci accese o in compagnia. The Lost Crown fa venire i brividi per i suoni, le immagini, l’atmosfera. E appassiona, perché è anche un ottimo gioco. Il che dimostra definitivamente che se ci sono le idee, e se c’è una buona storia, anche un uomo solo, come Jonathan Boakes, può creare un grande gioco. Non servono mega produzioni milionarie, dove spesso l’intervento di troppe persone fa più male che bene. Boakes ama lavorare da solo, nella sua casa in Cornovaglia, perché crede nella forza dell’autonomia.

La storia
Ma partiamo dalla storia. Il protagonista, Nigel Danvers, comandato in terza persona dal giocatore, arriva nelle nebbie di una cittadina inglese sperduta, Saxton, infestata da fantasmi e fenomeni paranormali. Prende alloggio in un cottage decrepito dove ben presto sperimenta i quattro aggeggi per la “rilevazione di fenomeni paranormali” che ha con sé: un registratore, un segnalatore di presenze, una videocamera e una macchina fotografica. Indagando e parlando con la gente del posto, Danvers comincia a indagare sui misteri di Saxton e si pone i suoi obiettivi: studiare i fenomeni paranormali e dare la caccia a un tesoro, la Corona Perduta.

Messa così, sembra tutto già visto. E in effetti lo è. Lo stesso Boakes lo ammette, ha infatti dichiarato: “Sì, le mie avventure saranno anche ricche di clichè, ma le ghost stories si fondano sui clichè, l’importante è metterli bene a frutto”.

Opera d’arte
Giocando sembra davvero di essere a Saxton, l’atmsofera avvolge e conquista ed è tutto molto realistico; del resto Boakes si è ispirato a una cittadina realmente esistente, Polperro. Si gioca immersi in un clima che definirei di “pace inquietante”, di “terrificante quiete prima della tempesta”. I suoni, dal verso delle cicale alle voci dell’oltretomba, saranno pure “amatoriali”, ma perfetti. E poi, la grafica: la scelta controcorrente del bianco e nero dà a The Lost Crown l’aspetto di una sorta di opera d’arte. Boakes ha usato una tecnica che definisce “decoupage fotografico”: in pratica le locazioni sono fotografie modificate al computer di luoghi realmente esistenti con poche, efficaci animazioni. Vi sembrerà davvero di essere lì, credetemi, non è un modo di dire.

E’ vero, d’altro canto, che i personaggi, a cominciare dal protagonista, sembrano dei pupazzi e che le loro animazioni possono apparire ridicole, ma più che un difetto questo, alla fine, risulta una affascinante caratteristica sotto il profilo artistico: nella sua arretratezza è paradossalmente una caratteristica innovativa. E’ come se Boakes volesse dirci esplicitamente: guarda, si tratta pur sempre di un gioco, il mio obiettivo non è simulare la realtà con immaginifici poligoni, ma offrirti un teatro in cui sei tu a muovere le marionette. In questo senso, The Lost Crown è un’opera d’arte. E ci si chiede: quale software house non indipendente avrebbe dato il via libera a tutto ciò?

La paura
Dicevo che The Lost Crown fa paura. E quando lo dico penso a una sequenza in particolare: l’incontro con un fantasma nei sotterranei del museo di Saxton. Voci, suoni, colori da grande film horror. E siamo noi giocatori a scatenarla, questa paura, non è un filmato buttato lì. E’ Nigel, il giocatore al mouse, ad agire. Nigel fotografa i fantasmi, e le foto sono le classiche foto che si vedono nei libri di spiritismo: un clichè, ma spaventoso. Nigel usa la videocamera a raggi infrarossi per farsi strada nel buio e, quando la attiva, sente suoni, sospiri, sussurri. Nigel registra le voci dei fantasmi, una tecnica classica degli spiritisti, che usata in prima persona dà una sensazione angosciante. Tanto che non si riascoltano con piacere le registrazioni… Nigel esplora stanze infestate mentre alle sue spalle avvengono fenomeni di poltergeist. Clichè, d’accordo, ma messi a frutto magistralmente con il bianco e nero, i suoni, le idee, le inquadrature. The Lost Crown ti proietta nel cuore di un horror, è un simulatore di spiritismo eccezionale.

Il gioco, gli enigmi
Sia chiaro: The Lost Crown è un bellissimo gioco. Gli enigmi sono perfettamente integrati nella trama, non ci si ritrova l’inventario pieno di oggetti assurdi per risolvere i classici enigmi da adventure game. Sì, c’è anche qui l’immancabile generatore di corrente da riparare, ma ci sono anche impronte da seguire e fantasmi da “addomesticare”. Senza caccia agli hotspot. Anche i (facili) labirinti sono un piacere, soprattutto perché esplorati con la telecamera a raggi infrarossi. E nel finale, proprio come in una avventura testuale, ho avuto necessità di disegnare una mappa a mano per andare avanti. Insomma, ottimi enigmi. E il fatto che non abbia mai avuto necessità di consultare la soluzione – tranne una volta per l’enigma dell’organo di cui parlerò più avanti – significa se non altro che non c’è niente di assurdo.

Dialoghi e movimenti
Qualcuno, in varie recensioni, ha criticato i dialoghi, trovandoli “deboli”. A me invece sono piaciuti: essenziali, concisi. E poi, c’era sempre la domanda giusta al momento giusto. Qualcun altro – penso ad esempio alla recensione di Andrew Plotkin – è stato tediato dalla lentezza dei movimenti di Nigel e dal fatto che non si potessero saltare con la pressione di un tasto certi dialoghi e certi commenti del protagonista. Be’, niente di grave, anche perché i movimenti mi sembrano abbastanza veloci e i testi, ripeto, piuttosto concisi. Se poi uno vuole giocare alla velocità della luce, è un altro discorso. The Lost Crown va goduto, non accelerato.

Difetti
Non sono accecato, anch’io ho trovato certi difetti in The Lost Crown. L’enigma dell’organo, cui accennavo, è uno di questi. Bisogna, in sostanza, riprodurre su un organo le note di un motivo. Ebbene, le note sono “stonate”, un indizio è scritto male e ambiguo: insomma, un enigma malriuscito. Nel finale, poi, Boakes ha a mio avviso fatto troppo uso degli enigmi tradizionali fondati sulla logica, quelli con la giusta sequenza da indovinare, quelli dei meccanismi da far combaciare: sì, sono ben integrati nel contesto, ma risultano facili escamotage e denotano momenti di poca fantasia che non fanno onore all’autore. Per il resto, The Lost Crown è un gioco pressoché perfetto.

Longevità e forza della trama
Stupefacente è anche la durata: oltre quaranta ore di gioco, e ci si blocca raramente. Boakes è stato molto generoso, non c’è dubbio. E al finale ha aggiunto una sorta di controfinale che, dopo fuochi d’artificio, ci riporta nella quiete inquietante di Saxton, dove nessuno ci riconosce più: la quiete dopo la tempesta. La longevità è inoltre rafforzata dal fatto che, per tutto il corso del gioco, un po’ come accade in serie televisive come Lost, spuntano domande e domande su quello che succede e le risposte sono centellinate, il che crea una notevole suspense. D’altronde, la storia è buona e permette questo tipo di “conduzione” e questa longevità. Una storia con echi di Lovecraft, di Henry James, di Dickens. Una storia solida, forse non scritta benissimo (ma Boakes si salva con uno stile conciso, con il non detto), una storia appassionante.

Conclusioni
The Lost Crown è un gioiello. E oltre tutto, è anche ben curato, non ha praticamente bug. E’ un’avventura fuori concorso, fuori dagli schemi. Che dimostra una cosa: anche i videogame possono essere opere d’arte.

Francesco Cordella – 26 dicembre 2008

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